

Vi invito a prendere posto cari lettori, magari accoccolati su di un sofà, avvolti come bachi da seta in una morbida e avvolgente coperta di lana profumata di casa e illuminati dai raggi pallidi del sole invernale che scalda lo sguardo e lo prepara alla meraviglia della stagione che ci accingiamo ad accogliere. Così, lusingati dalla dolce atmosfera ricreata, preparatevi a perdervi tra le avvincenti e misteriose righe a seguire, con le quali vi introdurrò ad un racconto di tradizioni e miti del passato, a storie e sapori che vi sveleranno le origini di una leggenda radicata nel tempo e nello spazio: la storia delle Streghe di gennaio.
Oggi, come in passato, nelle regioni italiane del Piemonte e della Lombardia, si è soliti salutare la cattiva sorte dell’anno passato con grandi festeggiamenti nei quali piatti e ricette tradizionali si sposano a musiche folcloristiche, fuochi d’artificio e grossi e infuocati roghi al centro dei quali, se si osserva bene, si potrà scorgere un fantoccio dalle sembianze umane, una donna, vestita alle volte di stracci e alle volte di stoffe e abiti sontuosi, simbolo della sventura e del tradimento. La sua identità non è affatto chiara, in alcuni comuni si parla di lei come di una giovane fanciulla dall’aspetto grazioso, colpevole tuttavia di un grave tradimento. In altri luoghi viene invece identificata come una crudele megera, una strega praticante di magia nera, intenta a creare disordine con i suoi malefici. O ancora vi è persino chi riconosce in quel fantoccio una terribile fattucchiera mangiatrice di bambini; quest’ultima versione è particolarmente diffusa, pensate cari lettori che anni addietro veniva tramandata di generazione in generazione la crudele verità celata dietro le streghe di gennaio che, secondo la leggenda, possedevano delle lunghe gambe affusolate con le quali si arrampicavano e stanziavano sugli alberi secolari delle fitte foreste del nord. Così trascorrevano le giornate spostandosi di albero in albero e osservando il trascorrere delle vite umane sulla terra, in attesa della notte dell’ultimo giovedì di gennaio, la notte nella quale sarebbero potute scendere dagli alberi per nutrirsi di giovani fanciulli avventuratisi nelle foreste.
Ora non allarmatevi, cari lettori, si tratta dopotutto di racconti, storie del passato la cui veridicità è certamente improbabile. Tuttavia, qualcosa di questa leggenda è rimasto ancora oggi, ossia l’usanza di festeggiare la notte della Giubiana proprio l’ultimo giovedì del freddo e lugubre gennaio, con il preciso scopo di condannare i nefasti eventi dell’anno passato e rinascere quindi nel buon auspicio.
Voci e bisbigli d’altri tempi suggerivano poi che il racconto di queste leggende dai retroscena spaventosi, dovesse venire accompagnato da pietanze specifiche, con le quali garantirsi la protezione dagli attacchi delle streghe di gennaio. Roventi paioli colmi di risotto cremoso, mantecato con burro e parmigiano e insaporito con gustosi pezzetti di luganega rosolata in padella, ancora, frittelle fumanti e crostoni croccanti e da bere rigorosamente rustici tazzoni pieni fino all’orlo di Vin Brûlé, una bevanda calda molto aromatica a base di vino rosso che, oggi come un tempo, viene puntualmente impreziosita dall’aggiunta di ingredienti preziosi e tipicamente invernali: la cannella, la scorza d’arancia, l’anice stellato, ancora il pepe nero e i particolarissimi chiodi di Garofano.
Dovete sapere, miei cari, che questi ultimi altro non sono che boccioli essiccati di un colore rosso bruno, originari dell’Indonesia. Li scoprii, pensate, durante uno dei miei viaggi a spasso per il globo, intenta ad accrescere la mia cultura su usanze culinarie e gastronomiche d’oltre oceano.
Appollaiata sulle farinose spiagge dell’isola di Zanzibar conobbi degli indigeni locali e subito iniziammo a chiacchierare delle meraviglie della loro terra, ai tempi ancora totalmente incontaminata e spoglia del caotico e commerciale turismo di massa. Mi raccontarono del trascorrere delle loro giornate, delle cerimonie, dei balli e dei canti locali, fino poi ad incantarmi beatamente con i racconti sulle spezie e sui prodotti tipici, tra i quali naturalmente erano inclusi i chiodi di Garofano di cui Zanzibar è il maggior produttore. Scoprii così qualche dettaglio in più su questo ingrediente chiave nella preparazione del Vin Brûlé, per esempio i suoi mille e più benefici e le sue decantate proprietà benefiche e afrodisiache, li assaggiai e potei notare l’aroma penetrante, inconfondibile e il sapore amaro, quasi pungente.
Oggi, rimuginando sulla meraviglia di quel viaggio tropicale, mi accorgo di quanto effettivamente non sarebbe Vin Brûlé se non ci fossero loro, i chiodi di Garofano, a fargli compagnia e così, presa dalla golosità, mi trasferisco in cucina per preparare la mia personalissima versione di questa famosa bevanda.
Recupero degli scaffali gli ingredienti e li riunisco tutti insieme in un capiente pentolone, scaldo a fuoco lento e porto a bollore. Nel pentolone ho riposto i medesimi ingredienti di cui vi parlavo nelle righe precedenti cari lettori, ossia vino rosso, cannella, anice stellato, scorza d’arancia, pepe nero in grani e chiodi di Garofano. Ora l’ultimo passaggio, con cautela accendo un fiammifero e infiammo, letteralmente, il liquido, così da far evaporare l’alcool in eccesso et voilà, il mio Vin Brûlé è pronto per essere gustato in attesa della lunga notte della Giubiana quando, tra miti e realtà, i racconti delle Streghe di gennaio e del Vin Brûlé torneranno a farci compagnia.
La Saliera cantastorie.
Il team di
UN PIZZICO
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